Il Parco della Commenda è delimitato, sui due lati che guardano su Via S. Pellico e Via Carchidio, dalle antiche , completate nel Borgo verso il 1460, ai tempi di Astorgio II Manfredi.
Interessante è il posto nel punto di incontro, ad angolo retto, delle due cortine murarie.
I torresini, 12 nell’antica cerchia muraria del Borgo, avevano una struttura semicircolare e si articolavano su tre piani: uno alla base, un secondo al livello della strada muraria, ed un terrazzo merlato sopraelevato.
Il torresino della Commenda è diverso, più alto degli altri: lungo le vie Carchidio e S. Pellico le si elevano gradualmente per raggiungerne l’altezza. Il più accentuato sviluppo verticale si giustifica con la posizione strategica: un baluardo posto tra due tratti di cinta muraria, dal quale si controllava l’adiacente strada di Santa Lucia conducente alle colline.
Un contrafforte più alto estendeva il controllo visuale delle zone circostanti ed aumentava la gittata delle armi, ma richiedeva una struttura più massiccia e costosa. La soluzione scelta allora fu: innalzare una montagnola artificiale e, attorno ad essa, edificare le mura, che avrebbero ricevuto dalla massa di terreno una maggior robustezza permettendo, al contempo, di raggiungere una quota maggiore. Soluzione che rispondeva ai requisiti nel modo più semplice e meno dispendioso.
Il cosiddetto Monte Formicone, cioè il rilievo addossato alle mura del Parco della Commenda, molto probabilmente ha avuto questa origine, risultando difficoltoso ipotizzare un preesistente rilievo naturale in quel contesto pianeggiante.
La Signoria dei Manfredi finì e Faenza ritornò sotto la Stato Pontificio. Le mura, persa la funzione difensiva, furono trascurate e i terrazzi merlati smantellati. Il torresino del Parco della Commenda, privo della sopraelevazione, rimase tale e quale.
La disegnata da Virgilio Rondinini nel 1630 mostra la differente tipologia del torresino del Parco della Commenda. Inoltre, riporta in modo dettagliato il complesso della Commenda, indicato come "La Magione". Nessuna evidenza della presenza dell’attuale rilievo che supera di alcuni metri l’altezza del torresino.
Nel 1642 si ebbe un piccolo sconvolgimento: il duca di Parma, Edoardo Farnese, a causa di una controversia con Papa Urbano VIII, attraversò la Romagna con le sue armi; le mura di Faenza furono restaurate con urgenza e i torresini, compreso il nostro, riempiti di terra.
In una seconda , disegnata da Pierre Mortier nel 1690, le mura a cinta del Borgo Durbecco appaiono intatte, così come il ponte fortificato sul Lamone. Meno ricca di particolari, rispetto alla mappa del Rondinini, è la parte dedicata al .
In seguito, la cinta muraria fu abbandonata: le cortine, presso il Ponte delle Torri sul Lamone, crollarono ed il Borgo divenne un luogo aperto.
Nel 1824, Giuseppe Maria Emiliani, divenuto proprietario del complesso della Commenda da qualche anno, restaurò le dalla Porta Torretta fino alla Porta delle Chiavi.
Emiliani intervenne anche sul torresino ubicato nel muro disposto a sud-est: impiegando blocchi di spungone realizzò un’arcata anteposta alla semicupola, ricavandone una accessibile.
Nel 1974, durante la trasformazione in giardino dell’area, fu spianato il terrapieno che correva lungo le mura e vennero allo scoperto gli , in origine destinati ad essere .
La prima casa costruita nel fossato sotto le mura risale al 1891 e fu addossata al torresino. Altri edifici lungo Via S. Pellico si aggiunsero tra il 1915 e il 1930.
Il piccolo spiazzo posto tra la vecchia cisterna cilindrica in cemento, ora riempita di terra, e l’angolo della cinta muraria si trova sopra la del torresino.
La stanza, semicircolare, misura 7,50 metri di diametro alla base e 6,30 metri alla sommità ed è alta 6,55 metri al centro della cupola.
Poco distante la sommità della cupola si apre una , aperta dall’Emiliani nel 1824: svuotato il torresino, Emiliani fece scavare alla sua base un , dotandolo di una pompa idraulica manuale allo scopo di irrigare il giardino da lui creato, ed aprì una breccia nel muro circolare. Infine, per contrastare la spinta della massa di terreno del Monte Formicone, irrobustì il muro addossato e lo dotò di un pilastro di rinforzo. Questi ed ulteriori interventi furono alla base di una controversia legale con il Comune di Faenza, controversia che si concluse nel 1826.
Curiosa la vicenda della : appare vecchia, ma non è citata nella perizia scritta nel 1824. Forse, l’Emiliani la fece costruire subito dopo la risoluzione della vertenza, benché la convenzione stipulata con il Comune proibisse qualsiasi collegamento tra il parco ed il fossato esterno.
Sul muro perimetrale interno del torresino si nota una risega che serviva da appoggio ad un solaio di legno sul quale posare le armi. Poco sopra si aprono tre : una per il tiro radente alla cortina muraria verso Porta delle Chiavi, la per il tiro radente verso via Silvio Pellico e la terza per il tiro frontale sulla strada per Santa Lucia.
Il terrapieno di epoca manfrediana addossato alle mura presenta un ulteriore più ripido, con tracce di un percorso sostenuto da muri a secco in blocchi di e culminante in un delimitato da ciò che rimane di antiche . Uno degli ultimi interventi di abbellimento del parco realizzati dall’Emiliani.
Sul lato del poggio rivolto a Forlì esiste una , in parte inserita nel terreno, anch’essa realizzata in blocchi di spungone. Si compone di due piani: l’inferiore, con volta a tutto sesto (una cappellina?) e il superiore, dal 2008 attrezzato dal WWF quale rifugio per , ma oggi in stato di abbandono.
Inconsueta risulta l’abbondanza di pietra spungone, a Faenza utilizzata in poche altre situazioni in ragione degli elevati costi richiesti dal trasporto di blocchi pesanti e provenienti da lontano. Ma, il 14 settembre 1842, il crollo del liberò una gran quantità di blocchi di spungone. Si ipotizza, dunque, che l’Emiliani, verso il 1843, abbia rialzato il poggio e abbellito mediante una arcata il torresino del lato sud-est del parco proprio attingendo le pietre dalle macerie del ponte delle Torri.
In sintesi, i passaggi di proprietà e i cambiamenti di destinazione dal 1600 ad oggi.
1645 - Fra’ Annibale Pasi, Commendatore della Magione, ottenne dalla Magistratura dei Cento Pacifici il permesso di mettere a coltura la strada delle mura circondante l’orto della Commenda.
1776 - Controversia tra l’Agente della Commenda, conte G. Zauli, e i Cento Pacifici sui confini tra l’orto della Commenda e l’ex strada delle mura, inglobata nell’orto e di fatto non più identificabile.
Conclusione della controversia con la posa di 5 cippi di confine e la realizzazione di una disegnata dai periti M. Marini e V. Foschini, unita, in seguito, al . Indicate le . Il dettaglio di una mostra come nel Settecento i disegnatori di mappe fossero ancora influenzati da un forte senso pittorico.
Il custode di Porta delle Chiavi, Antonio Baroncelli, prese in affitto la striscia.
1797 - Occupazione francese. La Magione fu messa all’asta: l’orto fu acquistato da Francesco Conti e l’ex convento rimase al Demanio Nazionale.
1806 - L’ex Magione dei Cavalieri di Malta fu ridotta ad abitazione a servizio dell’orto e abitata dall’ortolano F. Rustichelli con la famiglia, mentre la Chiesa continuò a funzionare come parrocchiale.
Il Comune mise all’asta, tra gli altri numerosi beni, la striscia di terra già citata, descritta come terreno arativo spoglio di circa 1700 mq. Il terreno fu acquistato per 301 lire milanesi da tal Vincenzo Caldesi, in realtà un prestanome di Francesco Conti.
Nel fossato sottostante, lungo la strada di S. Lucia, erano presenti alcuni gelsi, mentre lungo la Via S. Pellico uno sbarramento, quando il fossato era in funzione, manteneva alto il livello dell’acqua.
1812 - Il 20 gennaio l’immobile fu acquistato dal possidente Giuseppe Maria Emiliani (1776-1847).
La mappa del mostra, in modo dettagliato e preciso, il Borgo in quel periodo. In particolare, la , corrispondente in parte all’attuale Parco della Commenda, è censita nei Registri censuari come “orto arido” e risulta avere una superficie di 1 quadrato, 5 tavole e 85 centesimi. Nel corso di alcuni anni l’Emiliani lo trasformò in un giardino di particolare bellezza.
L’ del successivo 1846, che attesta la vendita dell’immobile da parte dell’Emiliani, ne descrive le : “Il locale, o sia Villa, detta La Magione, con Giardini, Orto, prato, fabbricati ed annessi, comprensivamente del Torricino, …. Aranciera, Stufa da fiori, stanzoni, Monte, Boschi, vasche, Peschiere, pozzi ed altro, in un coll’annesso terreno e resedi sia a giardino, che ad Orto, con fiori, frutti, alberi e piante qualunque che vi si trovano ….”
Nell’atto notarile, per la prima volta, si trova la citazione del monte Formicone.
1846 - Il 12 marzo il complesso della Commenda fu acquistato dall’avv. Giuseppe Pasini e dal fratello Vincenzo, per la somma di 5000 scudi.
1885 - In successione il complesso passò ad Antonio Pasini.
1920 - La proprietà venne frazionata in più parti da Angelina Carroli in Pasini e venduta a varie persone.
1923 - Il terreno, che un tempo fu il giardino dell’Emiliani, ritornò ad essere censito come semplice orto, con una superficie di 8000 mq. Presenti, vicino al torresino angolare, una vasca circolare in cemento per l’irrigazione ed una casupola a copertura della scala che porta alla base della torre. Dei manufatti annessi al giardino e citati nell’atto del 1846 (serra, aranciera, vasche e peschiere) nessuna traccia.
1964 - Un imprenditore locale progettò di costruire sull’area , ma il Comune, per scongiurare la perdita di una zona ricca di storia, decise di acquisire l’area.
1972 - Il 20 gennaio il Comune acquisì l’area.
1974 – L’area fu trasformata in : conservato il monte Formicone e le piante storiche, fu asporato il terreno addossato alle mura portando allo scoperto i contrafforti e gli archi. La vasca in cemento, destinata all’irrigazione, venne riempita di terra ed il piccolo edificio in mattoni, che dà accesso alla scala interna del torresino, mantenuto ma con una chiusura poco sicura tanto da permettere ai ragazzi di allora di entrare nel torresino. Si rimediò un paio di anni dopo dotando il casottino di una invalicabile.